La Linea D'Ombra: esoterismo, paranormale e misteri

Il mostro di Firenze, Parte 8

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AlexandraS~
Posted on 19/1/2011, 18:05     +1   https://i.imgur.com/f9CQYv1.png   https://i.imgur.com/soPZJY8.png




La storia potrebbe impressionare, le foto possono dar fastidio a chi piu sensibile visto che in alcuni casi sono abbastanza crude, quindi consiglio di non continuare la lettura a chi sa o sente di non poter riuscire a non agitarsi.

Il mostro di Firenze ha trasformato l'Italia.
E' cambiato tutto: sono cambiate le abitudini, i rapporti genitori/figli, le uscite del sabato sera. Cambiano addirittura i mezzi di investigazione.
Sandro Federico, capo della nuova SAM - Squadra Anti Mostro, ha ricevuto la fiducia sia della Procura, e quindi dal dottor Vigna, sia da parte del ministro degli Interni On. Scalfaro, stanco di questa situazione di terrore che aveva paralizzato il centro Italia. Federico mette in mano del dottor De Fazio il compito di fare un identikit psicologico, un profilo psicologico del killer: tra i 30 e i 50, di successo, perverso, in ottima salute.
L'Italia però non è abituata a questo, le ricerche, le indagini sono condotte con i vecchi metodi, con metodi che cercano mostri di un omicidio, massimo due nello stesso atto omicidario: non siamo pronti per un serial killer. Proprio per questo ci si affida al dottor De Fazio, e al suo identikit.
Nella zona Toscana erano stati appesi dei cartelloni, modello elettorale, in cui si incitavano i ragazzi a mantenere l'attenzione, ad essere prudenti, attraverso un grosso occhio che guardava minaccioso: il titolo diceva "Occhio ragazzi". Occhio perchè fuori c'è il mostro, il mostro uccide, quindi occhio. Ne fu realizzato anche un spot televisivo che di fondo aveva la canzone di Renzo Arbore, Ma la notte no che di certo non sembrava una canzone da poter abbinare al momento, ma la procura voleva far passare il messaggio nel titolo: ma la notte no ragazzi, state attenti.
Inoltre, per rafforzare la sicurezza, nelle zone toccate dal mostro, vige una nuova regola: se una coppia di ragazzi non rientra a casa entro la mezzanotte, scatta automaticamente l'allarme in caserma.
Ma si può vivere con questo terrore? Come si può scongiurare la morte dei propri figli che voglio solo vivere la loro giovinezza? La bellezza della Toscana è quella, quella che ti permette di aprire la finestra e vedere i boschi, il verde, la primavera che invade anche le città, i borghi. Ma forse, anche noi stessi italiani, italiani degli anni '80 intendo, viviamo con un'immagine di Firenze e dintorni, dipinta dagli inglesi: la Firenze bene, rinascimentale, viva, giovane. Ma Firenze è una città medievale, esoterica, una città che d'inverno è buia, che di notte ti porta in una campagna sperduta se si fanno due soli passi in più: ti porta nella campagna che fa paura.
E quindi? Come si proteggono i ragazzi? Come possiamo fare noi genitori?
Bene, oltre il coprifuoco, i cartelloni minacciosi, identikit psicologici e spot pubblicitari, su La Nazione, quasi il giornale ufficiale dei fatti del mostro, ospita tra le sue pagine la rivoluzione intellettuale e morale dei genitori dell'epoca, che poi si trasformerà in rivoluzione pratica vera e propria. Una lettrice scrisse al giornale, in sostanza: posso io la sera, fingere di uscire con mio marito, andare in piazza, al cinema, a prendere un gelato, per poter lasciare la nostra casa ai figli, in modo da poter evitare di mandarli nei boschi a vivere i loro amori giovanili e quindi a rischiare di vederli morti la mattina dopo? Bè, era questo il dibattito. Si poteva, da genitori, accettare che i propri figli facessero sesso nella casa di famiglia, accettare tutto ciò per la loro vita? Ricordate che siamo in Italia, che contiene pur sempre lo Stato Vaticano, una nazione che anche se sulla Costituzione della Repubblica è uno stato LAICO ha delle radici cristiano/cattoliche molto forti, e anche una certa... "falsità" nel saper non vedere determinate cose. Eppure il dibattito portò ad una sorta di plebiscito per il si: era meglio cedere la casa, e vorrei vedere insomma. Magari dallo stato Italiano, per assurdo, si sarebbe preferito vietare approcci per evitare di cedere la casa ed evitare la morte di altri ragazzi, ma logicamente, il popolo toscano dimostrò comprensione e intelligenza. Vietare approcci di tipo sessuale ad i figli era in pratica impossibile, anzi si sarebbe corso il rischio di aumentare le fughe nelle campagne, e quindi.... Per questo, il popolo toscano è quello con la mentalità più aperta d'Italia in fatto di sesso/figli.

Intanto, dopo la morte di Pia e Claudio, la Procura vuole mantenersi attiva e quindi cerca id raccogliere può indizi possibili.
Ricordate l'Allegranti? Il guidatore dell'ambulanza che soccorse Paolo Mainardi, unico sopravvissuto (anche se per poche ore) alla furia del mostro? Ricordate che l'Allegranti aveva ricevuto una telefonata dal mostro, ecco. L'uomo, durante l'estate del 1984, dichiarò alla procura che continuava a ricevere telefonate dallo stesso uomo, il mostro di Firenze, e continuò a dichiarare la stessa cosa quasi per tutto il 1985, ricevendo minacce su minacce.
Poi, diversi guardoni dissero di aver visto un soggetto somigliante all'identikit fisico che era stato fatto tempo addietro: questo fece pensare di essere finalmente sulla pista giusta.
Altro fatto inquietante, ma nessuno, nemmeno la procura gli diede attenzione. Paolo Riggio e Graziella Benedetti vengono uccisi da una calibro 22 il 21 gennaio del 1984, a Sant'Alassio, intorno alle 23.00/23.30, prima di avere un rapporto sessuale: il commissario che si occupava dell'omicidio disse che non era collegabile al mostro (anche se il dottor Maurri disse che la mano era la stessa) visto che avevano già un sospettato, un guardone attempato della zona, che però negli anni non portò a nulla di concreto.
Si testò inoltre una serie di morti inspiegabili avvenute tra il 1982 e il 1984, tutte donne, tutte in procinto di avere rapporti sessuali:
- Clelia Cuscito,colpita da arma bianca ancora viva (ferite compatibili con la mano del killer, secondo il dottor Maurri) e poi strangolata con il filo del telefono;
- Giuliana Monciatti, uccisa a coltellate rivolte in special modo al pube, al seno, e alla zona inguinale, inoltre la sua borsetta venne frugata e asportata.
- Luisa Meoni, legata con un maglione e soffocata con un batuffolo di cotone spinto in gola, sul tavolo c'era una fattura di un lavoro idraulico riconducibile ad una ditta intestata a Salvatore Vinci.
- Giuseppina Bassi, morta strangolata.
Il 12 ottobre 1984 intanto, il tribunale del riesame fa scarcerare Giovanni Mele e Piero Mucciarini: il clan sardo non è ancora abbandonato dai sospetti e appunto, le attenzioni dei Carabinieri si spostarono appunto su Salvatore Vinci. Dopo la morte di Pia e Claudio, il Vinci aveva ricevuto i Carabinieri per una perquisizione e all'interno della sua abitazione venne ritrovato uno straccio coperto da macchie rosse e con una sbavatura nera, nascosto in una borsa da donna. Il reperto fu analizzato solo un anno dopo, ma le macchie rosse vennero identificate come sangue di gruppo 0 e B, mentre la sbavatura nera era riconducibile alla pulitura di arma da fuoco. Quel sangue però, proprio perchè analizzato un anno dopo, non potè essere confrontato con quello delle 14 vittime perchè nessuna traccia di sangue delle precedenti vittime era stato tenuto come possibile traccia. Poi dici....
Proprio per discutere di questa nuova ipotesi Vinci, il 12 giugno del 1985, il giudice Rotella volle parlare ancora con Stefano Mele, che in sede di interrogatorio cercò di gettare ancora più fango sulla figura di Salvatore Vinci, riguardo il delitto del '68. Poco prima, a febbraio dello stesso anno, la polizia va verso Giovanni Calamosca, colui che ospitò Francesco Vinci (fratello di Salvatore): Renzo Rontini, padre di Pia, aveva raccolto testimonianze in cui Calamosca era stato visto con una Beretta calibro 22 di proprietà del Calamosca stesso. Il sospetto durò circa un mese, poi decadde l'accusa in quanto i testimoni avevano molti motivi per screditare il Calamosca.
In tutta questa storia però, emerge l'amore di un padre (Renzo Rontini), che pur di non far dimenticare la storia della figlia, pur di far condannare il vero mostro, mette in gioco i soldi, la casa, e perfino la salute.

Ottavo omicidio: Kraveichvili - Mauriot


La storia
E' il 9 settembre 1985, sono le 14.00/14.30.
Luca Santucci sta camminando per le campagne con il suo fido cesto: è in giro per cercare qualche fungo selvatico, accompagnato dal bastone e la tenuta da vero e proprio cercatore. Immaginatelo. Mandando il bastone nei cespugli della stradina di bosco, il Santucci si imbatte in dei piedi. Dei piedi di uomo.
Siamo a San Casciano, Via degli Scopeti, una stradina con piazzola.
Santucci capisce immediatamente di cosa si tratta, ha paura, ma cerca il resto dell'atto compiuto, perchè lo immaginava: infatti, sposta lo sguardo verso la fine del viottolo degli Scopeti, e nota una Golf bianca e una tenda azzurra da campeggio poco distanti. Il ragazzo fugge in paese e vi torna una mezzora dopo con il maresciallo Lodato e l'appuntato Mallone, che vanno immediatamente ad avvicinarsi alla tenda. All'interno, una donna.
Nadine Mauriot e Jean - Michel Kraveichvili hanno rispettivamente 36 e 25 anni: lei ha un negozio, due figlie e un ex marito; lui invece è un musicista. Insieme sono partiti per una vacanza in tenda partita dalla Liguria e che stava per terminare proprio in Toscana.
I due sono stati sorpresi dall'assassino quando erano nella tenda, squarciata nella parte posteriore: il mostro poi era passato all'entrata e aveva sparato, uccidendo definitivamente Nadine. Jean Michel invece, ferito, era uscito dalla tenda ed era stato raggiunto e finito a colpi di coltello. Torna dalla donna, le asporta pube e seno sinistro, poi la rimette nella tenda.

La scena del crimine
Alle 15.30 la polizia scientifica la faceva da padrone: aveva cordonato l'intera piazzola, per non dire l'intera zona, non permetteva a nessuno di passare, di entrare nel recinto, nemmeno ai giornalisti che fino a quel momento avevano avuto almeno una foto da prima pagina assicurata.
L'auto si trova alla fine della stradina, in uno spiazzo, chiusa a chiave e con un seggiolino per bambini sui sedili posteriori: c'è una macchia di sangue appartenente a Jean sulla canaletta di scolo, sportello anteriore lato sinistro; la polvere su tutta l'auto è uniforme tranne che per due parti, due impronte parziali che si riscontreranno inutili ai fini investigativi. Nell'auto c'è una cartina, anteriore destro, due maglioni, foglio e documenti sul cruscotto, due bottiglie (una di acqua e una con del liquido grigio). Le chiavi dell'auto sono all'interno della tenda, la cui custodia viene ritrovata a circa 4 mt dall'auto.
La tenda è b-ingrasso, fronte retro: verso la strada c'è quello principale, l'altro verso la radura. Accanto a quest'ultimo, chiuso dalla cerniera, c'è un taglio di circa 40 cm, dall'alto al basso. Sul lato sinistro un altro taglio, ma fatto assurdamente dalla pistola.
All'interno della tenda, fato ad igloo, si può notare un materassino gonfiabile e accanto a questo, la borsa dei ragazzi, contenente addirittura la loro scarpe, ma nessuna torcia, luce, lampada, nulla che potesse illuminare.
Nadine è dentro la tenda, ha un colorito che va sul marrone piuttosto marcato, segno di decomposizione avanzata, gonfiore e zone di epidermolisi. Rivolge la testa verso destra, con un braccio alzato e l'altro sul torace: è coperta fino all'addome.
Dalla zanzariera della tenda, si può capire che all'interno sono stati sparati 5 colpi, da una distanza che va dai 10 ai 56 cm. Ad 80 cm dalla tenda, fuori nella piazzola, c'è una pozza di sangue, 20 cm di diametro: molto probabilmente è lì che l'assassino ha asportato il pube ed il seno a Nadine, visto che il sangue coincide.

A 13 mt dalla tenda, c'è Jean, anche lui immerso nel sangue: è in posizione supina, ha le braccia in alto, piegati sulla testa; le gambe su un cespuglio a circa 50 cm dal terreno. E' stato coperto da medi bidoni di vernice, un coperchio di plastica che copre il capo. Anche Jean sembra già avanzatamente decomposto. Sul corpo di Jean vengono trovate 13 ferite da arma da taglio: 1 sul dorso; 4 in regione precordiale, con lesione di plaura e polmoni; 1 all'ipocondrio destro che toccò il fegato; 2 all'inguine; 4 sul braccio sinistro; 1 al polso. Inoltre c'era una grossa ferita sul collo che pur avendo attraversato la trachea aveva mancato i fasci vascolari, quindi non mortale. Poi vengono trovate altre 4 ferite d'arma da fuoco: 1 al labbro sinistro; 1/forse 2 alle dita della mano destra; 1 al gomito destro; 1 all'eminenza tenar della mano. Jean è morto per anemia acuta da emotorace ed emoperitoneo.
Nadine invece, secondo i periti, è stata uccisa nella tenda, con un tempo che va dai 7 ai 9 minuti. E' stata colpita 3 volte alla testa da pistola Beretta calibro 22, e un quarto all'emitorace sinistro, sul seno che poi verrà esportato: si ipotizza che quando Nadine è stata colpita dall'ultimo proiettile, fosse già morta per gli altri 3.
Il mostro poi l'avrebbe trascinata fuori dalla tenda e stesa sul terreno, dove praticherà l'asportazione del seno sinistro e del pube, netto e deciso, come a Vicchio. Dopo, la donna è stata spinta nella tenda e coperto, per non farlo vedere. Inoltre, Nadine presenta una profonda ferita da coltello post mortem, all'altezza del collo.
Il dottor Maurri, alle ore 17.30, ispeziona i cadaveri sul luogo e ma non può accertare la data nè l'ora della morte, visto l'avanzato stato di decomposizione : afferma però che per quanto si possa vedere, la morte dovrebbe risalire alla domenica sera, approssimativamente. Successivamente, con autopsia vera e propria, il dottor Maurri fa risalire la morte alla notte tra domenica e lunedi, 16-18 ore prima dell'esame necroscopico. L'ultimo pasto fu pasta al pomodoro, e forse carne: nel 1997 due testimoni riconosceranno i due francesi come i due turisti che la domenica mattina verso le 11 fecero colazione nel bar di proprietà degli stessi testimoni. Secondo i periti dell'equipe del dottor De Fazio, fatta nel 2003 sulla base delle foto, la morte va fatta risalire alla notte a cavallo tra sabato e domenica. La questione della morte rimane fino ad oggi un punto interrogativo, tant'è che si analizzarono anche le larve di datteri, di coleotteri dermestidi, di un calliforide verde adulto rinvenuto sul mento di uno dei due cadaveri, insomma qualsiasi insetto potesse aver prodotto uova, o essersi nutrito a punto tale da far determinare con presunta certezza la data della morte. Ancora oggi non propriamente conosciuta.
All'interno della tenda viene recuperato un bossolo calibro 22 Winchester con la lettera Ha sul fondello. Altri 2 bossoli uguali vengono ritrovati sul terreno di fronte alla tenda. Altri bossoli vengono trovati il giorno dopo, per un totale di 9: 1 nella tenda; 6 davanti all'entrata; 2 sul lato destro della tenda.
Secondo i giornali vennero addirittura ritrovati dei fazzoletti appallottolati intrisi di sangue, provenienti da un rotolo di carta della tenda: tentativo dell'assassino di ripulirsi le mani, cosa smentita successivamente nel 1994 dagli inquirenti.
Pochi giorni prima di essere uccisi, i due ragazzi si erano accampati nella zona di Calenzano, ma erano stati mandati via da un guardiacaccia: lo stesso guardiacaccia aveva ritrovato, qualche giorno dopo, tre cerchi di pietre. Proprio nel punto in cui i due si erano accampati. I tre cerchi erano composti da pietre chiare, una novantina di cm di diametro, distinguevano (secondo gli esperti in esoterismo contattati all'epoca) a tre momenti diversi di un rituale magico che aveva come soggetta la coppia di turisti:
- Individuazione delle vittime (cerchio aperto);
- L'esecuzione (cerchio di pietre e pelli di animali bruciate);
- Uccisione (cerchio di pietre con bacche rosse e una croce di legno).
In uno di quei cerchi, il guardiacaccia raccontò (in una testimonianza ormai persa) che in uno dei cerchi vide un proiettile calibro 22 e la stampa della serie, H. Ovviamente, gli inquirenti (forse perchè non seguivano una pista esoterica) non presero in considerazione la testimonianza dell'uomo.
Il 4 ottobre, tre giovani trovarono dei guanti in lattice e una garza macchiati di sangue: repertati, vennero poi scartati perchè gli inquirenti erano certi di aver fatto i sopralluoghi ed i rilievi quasi alla perfezione.

Ipotesi
La corsa di Jean, prima verso l'auto cioè a sinistra, e poi verso la boscaglia, verso destra, è possibile che sia frutto di uno scontro con l'assassino. I soggetti forse, i mostri, erano due: l'uomo con la pistola, che non poteva essere quindi anche quello con il coltello a meno che non si sdoppi, avrebbe dovuto prima scontrarsi con Jean e per non colpire il complice, avrebbe evitato di aprire il fuoco contro il ragazzo, lasciando largo al secondo mostro con il coltello che ha poi raggiunto Jean e lo ha finito a coltellate.
L'assassino, in assenza di luce perfino nella tenda, avrebbe dovuto usare 3 oggetti diversi (in caso di un unico assassino): pistola, coltello, torcia. Avrebbe dovuto tagliare la tenda, riporre il coltello, estrarre la pistola, sparare con la torcia nell'altra mano; nel frattempo avrebbe dovuto anche spegnere la torcia a tempo debito e riporla per evitare l 'effetto sorpresa e quindi il vantaggio sulle vittime.
Il taglio però sarebbe già di per se un difetto dell'effetto sorpresa: i due giovani sono stati colpiti dalla pistola nelle stesse posizioni in cui sono stati sorpresi, l'una sull'altro, quindi non si erano resi conto del taglio. Oppure, cosa piu verosimile, gli aggressori erano due e hanno agito simultaneamente. Questa cosa presenta un solo dubbio, l'uomo con la pistola avrebbe sparato cosi nella direzione anche del suo complice, facendogli rischiare la vita: o si è stupidi o si è superman per me.

Le indagini
Quello che balzò subito agli occhi di tutto era la strana disposizione dei corpi: l'uomo era fuori dalla tenda, ma era stato nascosto nei cespugli del boschetto, mentre la donna era chiusa nella tenda addirittura dopo essere stata mutilata. Perchè tanta cura? Perchè nasconderli?
Il motivo si scoprirà solamente pochi giorni dopo, il martedì.
Alle ore 10.30 arriva un plico sigillato alla procura di Firenze: il mittente è anonimo e l'indirizzo del destinatario è comporto da ritagli (non di forbice) di giornali. Il destinatario è la procuratrice Silvia dalla Monica, che non si occupa più del caso dal 1984, dall'anno prima in pratica; ad aprirla non sarà la Della Monica, ma i funzionari della cancelleria, insospettiti dal plico. Dentro c'era un lembo del seno della Mauriot: il piccolo reperto fu inserito in una busta e registrato. Per quanto riguarda il plico invece: lì'indirizzo presenta un errore ortografico (Repubblica con una sola b) e l'affrancatura di 450 £ è sufficiente per una lettera fino i 20 grammi; inoltre è stato imbucato in una cassetta di San Piero a Sieve, sicuramente prima delle 12.00 di lunedì, quindi presumibilmente nel finesettimana, o il lunedi mattina (teniamo conto che la morte dei due turisti non ha mai avuto una data ne un ora certa). La notizia rimase nascosta fino al 24 settembre, quando il giornale Epoca pubblicò un articolo a riguardo, contrariamente a quello che pensava la procura, convinta che di lì in poi l'assassino avrebbe fatto un passo falso.
Come reagì la procura? Ovviamente continuando sulla strada di Salvatore Vinci: anche se sembrava un vicolo cieco ai più, la procura continuò a cercare un collegamento tra lui e il mostro. A parte non avere una fedina penale non pulitissima, essere stato sospettato per l'omicidio Lo Bianco/Locci nel '68, il Vinci era stato sospettato anche per il suicidio della moglie, nel 1960: ricordate, l uomo era vedovo e gli inquirenti ritirarono fuori quella storia, per poter indagare su di lui e cercare di incastrarlo.
Il mostro aveva compiuto un gesto molto teatrale, simile a quello che fece Jack the Ripper nel 1888, quando inviò delle lettere a coloro indagavano: sta di fatto che quello poteva essere un gesto che portava quasi sempre ad una svolta.
Eccome. Vinci venne formalmente accusato dell'omicidio della moglie e di quello del '68, dopo varie ritrattazione dei testimoni, e così dopo due anni di processo in Sardegna, l'uomo venne definitivamente scagionato.
Nel 1989, il giudice Rotella si dovette arrendere e promulgò una sentenza di proscioglimento dalle indagini di tutte le persone coinvolte fino a quel momento nella vicenda del mostro di Firenze.
In pratica, tutto finito per la procura.

E il mostro? Intanto però, nel 1986, la S.A.M. viene affidata a Ruggero Perugini: specializzato a Modena in Criminologia Clinica e perfezionatosi all'Accademia di Quantico negli Stati Uniti, Virginia.



Testimonianza di Luca Santucci a Giallo 1.


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Edited by AlexandraS~ - 30/1/2011, 16:37
 
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