La Linea D'Ombra: esoterismo, paranormale e misteri

Serial Killer, Parte 1

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Posted on 5/4/2011, 14:18     https://i.imgur.com/f9CQYv1.png   https://i.imgur.com/soPZJY8.png




Introduzione
Perché tutto questo nascente interesse intorno al fenomeno serial killer?
L'argomento, come popolo e come nazione, ci riguarda marginalmente, ma in realtà ma ci stiamo accorgendo che alcune tendenze nei delitti di cronaca nera degli ultimi 20 anni portano nella direzione degli assassini seriali.
Delitti di un certo tipo ne abbiamo sempre avuti, ma nelle pagine dei giornali stanno affiorando sempre più crimini cosiddetti "inspiegabili" e portati a compimento con efferatezza spesso inaudita. Fino agli anni ottanta, l'unico vero caso famoso a livello nazionale di serial killer inteso come assassino sessuale era stato quello del Mostro di Firenze.
Ma il crimine si evolve, come si evolve la psicologia delle persone e delle popolazioni, e in realtà questo tipo di criminalità è in continua espansione anche da noi.
Fonti governative statunitensi affermano che il fenomeno ha avuto una crescita del 450 per cento negli ultimi dieci anni. È vero che l'America alberga il 75 per cento dei "nati per uccidere" ma il fenomeno è in espansione anche da noi, soprattutto in Russia e nella vicina Gran Bretagna.
In Italia ne abbiamo avuti 27 dal 1982 al 2002. Siamo al quinto posto dopo USA, Gran Bretagna, Francia, Canada e Giappone. Mitizzati, glorificati e commercializzati dai media, questi criminali godono sempre più di attenzioni provenienti da ogni direzione; psicologi, criminologi e persone comuni,
II mito collettivo di serial killer è Hannibal Lecter, ambiguo e seducente personaggio del film di Jonathan Demme "Il silenzio degli innocenti". Il primo volto che appare nella mente di chiunque abbia visto quel film è il suo. I serial killer sono anche così, ma di certo non sono tutti geni perfidi e scaltri.
La maggior parte di queste persone hanno dei forti problemi psicologici, spesso al confine con la schizofrenia e le patologie connesse; sono degli emarginati semi-autistici con enormi ego.

Vorrei adesso chiarire alcuni miti che circondano l'aura dell'assassino seriale distinguendo una volta per tutte le informazioni veritiere da quelle false.

1. I serial killers sono intelligentissimi

Vero in parte. Come già detto, spesso queste persone hanno quello che macabramente si può definire un "talento" nel manipolare gli altri per il proprio interesse. Per il resto, soltanto meno della metà presenta quozienti di intelligenza superiori alla norma.

2. I serial killers "giocano" con la polizia una partita vinta in partenza scrivendo lettere e lasciando falsi indizi

Anche questo, vero in parte. Gli assassini seriali sono, nella maggioranza dei casi, dei patologici narcisisti e delle inguaribili primedonne. Se scrivono lettere alla polizia può essere per vari motivi. Il primo, farsi notare, far vedere al mondo quanto sono stati bravi, quanto sono in grado di controllare le situazioni e quanto si estende il loro potere di vita e di morte sulle persone che hanno la sfortuna di incontrarli al momento sbagliato. In realtà tentano di guarire quell'insanabile depressione che li coglie dopo ogni assassinio, rivivendo le emozioni del momento del crimine e tentando di legittimare e di dare un senso più ampio alle loro azioni. Un secondo motivo può essere quello di cercare di fuorviare gli inquirenti, di fare quel gioco con la polizia e i media all'interno del quale si sentono di comandare e di spadroneggiare. Nella maggior parte dei casi sono anche tentativi di apparire psicotici e "malati", in caso un giorno vengano presi. È il caso di David Berkowitz che scriveva lettere piene di cose senza senso al capo della polizia di New York. Ha ammesso poi dopo l'arresto che si trattava di una serie di falsità per sviare le indagini.
In generale questo genere di comunicazione a una via sola è la dimostrazione palese di un patetico tentativo da parte di questi criminali di attrarre attenzione mentre cercano in realtà di dire a sé stessi che la loro vita ha un senso e quello che fanno è giusto perché in quel momento hanno il coltello dalla parte del manico.

3. I serial killers sono freddi calcolatori che sfuggono alla giustizia

Falso. La maggioranza di questi assassini uccide nel momento in cui l'occasione gli si presenta. Certo, molti di loro vanno a "caccia" per ore, giorni, mesi.
Certo, molti di loro portano sempre con sé gli "attrezzi del mestiere". Ma la loro capacità di pianificare il loro futuro non va oltre l'atto criminale, che racchiude il senso delle loro vite. Sono quasi completamente privi della capacità di pensare le cose in prospettiva e gli atti con le loro conseguenze. Orientano tutte le loro facoltà all'omicidio e conseguentemente alla giusta occultazione del cadavere, senza un minimo di preoccupazioni per quello che potrebbe succedere il giorno dopo.

Alcuni serial killers sono i classici impiegati di banca che poi di notte diventano mostri

Falso. È molto raro che questo genere di assassini siano onesti cittadini che si trasformano in terribili assassini.
Le eccezioni ci sono, ovviamente e forse la più rappresentativa di queste è il caso di John Wayne Gacy.
Tutto il resto del campione medio della popolazione degli assassini seriali, in realtà, si compone di uomini che vivono da soli o con donne a loro volta problematiche, quando non ancora con la famiglia, che probabilmente non si accorgerebbe di loro neanche se si dessero fuoco in giardino. Persone fortemente emarginate e avulse dalla vita sociale, che raramente rivolgono la parola a qualcuno o che, in ogni caso, possiedono una genuina freddezza d'animo che non tradisce nessuna emozione. Questi criminali molto raramente palesano le loro tendenze omicide in contesti diversi da quello dell'assassinio.

Dinamiche di comportamento III

Fase quarta: Il comportamento dopo il crimine
Molti soggetti dichiarano che dopo l'omicidio hanno sentito un profondo senso di sollievo e tranquillità tanto che sono andati a casa e hanno dormito profondamente tutta la notte. La fuga può essere frettolosa in caso di mancata pianificazione di questa fase oppure calma e attenta nel caso contrario.
Paradossalmente, per alcuni individui non è altro che un'altra fase dell'esperienza alimentata dalle fantasie. Un soggetto racconta che una volta arrivato a casa di ritorno dal crimine ha vagato tutta la notte passando più volte davanti alla stazione di polizia in segno di sfida e in un ancora profondo stato di eccitazione. Il comportamento manifesto della maggior parte di questi killer è apertamente contrario alla loro comprensibile voglia di non essere incriminati. Come nel caso sopraelencato, spesso i soggetti mantengono anche a lungo nel tempo del post-omicidio un comportamento di aperta sfida per riuscire a mantenere quello stato di eccitazione e quella sensazione di controllo e di grandiosità fornita dall'omicidio. I comportamenti messi in atto rientrano spesso fra i seguenti: ritorno alla scena del crimine, osservazione del ritrovamento del corpo e delle prime rilevazioni sul posto, conservazione di souvenir del defunto e addirittura partecipazione alle indagini.
Si dice che David Berkowitz non facesse altro che parlare con i suoi colleghi al lavoro dei delitti del killer della 44. Nessuno poteva sospettare che il placido David era in realtà l'autore di quei crimini.
Il ritorno alla scena del crimine è un luogo comune ampiamente sostanziato dalle statistiche. Il 27 per cento dei nostri 36 assassini è tornato sulla scena.
Il 26 per cento ammettono come motivo il rivivere le sensazioni provate durante l'omicidio, il 19 per cento per assistere a quello che fa e dice la polizia quando il corpo viene trovato, l'8 per cento per ripetere l'assassinio con un'altra vittima e infine il 7 per cento per fare sesso con il cadavere. Un esempio, Ted Bundy, un caso illustre che più avanti tratterò come al limite fra i killer "dentro i paradigmi" o con comportamento classico e prevedibile e quelli "fuori dai paradigmi" cioè con comportamento non convenzionale, era uno che sulla scena del delitto ci tornava spesso. La maggior parte delle volte era per fare sesso col cadavere ma spesso anche per sincerarsi che nessun elemento delle scena del crimine potesse ricondurre a lui, tracce, impronte, perfino capelli e peli, sperma, ecc. I souvenir consistono in una prova per il criminale che è riuscito ad attivare le sue fantasie e spesso vengono usati come catalizzatore per riviverle.
Alcuni collezionano oggetti vistosi senza troppe preoccupazioni di nasconderli in casa, li vogliono sempre a portata di mano e a vista, più possono pensare a quello che hanno fatto e meglio si sentono. John Wayne Gacy teneva carte di identità, guanti sciarpe e cappelli delle sua vittime sul cassettone in camera da letto. Per non parlare di Ed Gein che aveva la casa piena di macabri memento come teschi portacandele, pelli dei defunti e persino un corrimano fatto di ossa del femore e delle gambe.
Si è notato che gli assassini che uccidono con una pistola sono più inclini a tenere un diario, ritagliare articoli dei giornali, confidare il gesto a qualcuno mentre è improbabile che facciano foto della scena del crimine, o che ci tornino in qualche modo. Dall'altra parte coloro che usano coltelli o oggetti contundenti per uccidere a volte fanno foto della vittima, ritornano sulla scena in alcuni casi e cercano in ogni modo di interagire con la polizia a proposito delle indagini.

Fase quinta: l'arresto
Il 50 per cento degli intervistati sono stati arrestati unicamente per causa delle indagini della polizia, sei sono stati identificati da un sopravvissuto a degli attacchi, due da un partner o da una moglie, e quattro si sono costituiti.
E' famosa la storia di Kemper che si è costituito nel modo più mite possibile subito dopo aver massacrato la madre e l'amica della madre; ha chiamato la polizia da una cabina telefonica e gentilmente ha detto: "venitemi a prendere".
I casi in cui un sopravvissuto racconta sono più unici che rari; si pensi che una delle più attendibili e curate biografie del feroce Ted Bundy si intitola "The only living witness".
Come spesso succede con questo tipo di assassini, il colpevole è l'unico testimone vivente dei fatti.

Patologie I

Cosa trasforma bambini speciali in futuri assassini seriali?
Queste le principali patologie psichiatriche e psicologiche solitamente riscontrate di questi individui:

A.P.D.
Come prima cosa, quando si parla di Serial killer, nella sua accezione più classica di assassino sessuale la diagnosi è quasi sempre di psicopatico o sociopatico, o in termini correnti affetto da A.P.D., Antisocial Personality Disorder o Disordine da Personalità Antisociale. Il "Diagnostic and Statistic Manual" della "American Psychiatric Association" considera costitutivi di questa diagnosi i seguenti criteri:

A- Continuo disinteresse a proposito o violazione dei diritti degli altri, in corso dall'età di 15 anni la cui diagnosi comprenda almeno tre dei seguenti punti:

1. Mancata conformazione alle norme sociali
2. Falsità e tendenza all'inganno indicata da ripetute menzogne, uso di nomi falsi, imbroglio di altre persone per profitto personale
3. Impulsività o impossibilità di pianificare in anticipo
4. Irritabilità e aggressività
5. Totale disinteresse per la sicurezza o la salute altrui
6. Incapacità di sostenere continuativi rapporti di lavoro o sociali
7. Mancanza di rimorso, indifferenza, e completa razionalizzazione personale dopo aver derubato , ferito o danneggiato un'altra persona

B- L'individuo ha almeno 18 anni.

C- Il riscontro di simili precedenti comportamenti antecedenti a detta età non è imputabile ad attacchi schizofrenici o maniaco-depressivi.

La maggior parte della popolazione che soffre di questo disordine della personalità è maschile.

PSICOPATIA
Questa patologia si adatta quasi perfettamente alle caratteristiche più diffuse del criminale organizzato.
La psicopatia è diagnosticata nel 33 per cento dei criminali reclusi degli Stati Uniti. Per la definizione ci rifacciamo al libro dello psichiatra J. Reid Meloy che la definisce come una personalità che incorpora tratti di narcisismo aggressivo con un preponderante comportamento antisociale ripetuto. Questi individui hanno storie personali di continui tentativi di costruzione di un'immagine positiva di sé all'interno di un ambiente ostile e che li costringe a rifugiarsi in se stessi.
Hare, nella sua "Hare' s Psychopathy Checklist" include tra I tratti distintivi di questa personalità i seguenti:

1. Manie di grandiosità accompagnate da forti complessi di inferiorità e castrazione
2. Continuo bisogno di stimoli
3. Mentire patologico
4. Tendenza all'imbroglio e alla manipolazione
5. Scarso controllo del proprio comportamento
6. Mancanza di rimorso o sensi di colpa
7. Problemi del comportamento fin dalla giovane età
8. Completa mancanza di senso di empatia
9. Mancanza della capacità di avere e/o di concepire obiettivi a lungo termine
10. Impulsività
11. Irresponsabilità
12. Mancanza di accettazione della responsabilità delle proprie azioni
13. Molte relazioni affettive brevi
14. Delinquenza giovanile
15. Versatilità criminale

Lo psicopatico è di solito molto violento, e la condotta aggressiva mostra una tendenza ad aumentare fino a che il soggetto raggiunge uno stato di relativa pace all'età di cinquanta anni circa.
È genericamente considerato intrattabile e inguaribile. Una caratteristica dei serial killers psicopatici è che la violenza tende a essere predatoria e principalmente (se non unicamente) rivolta verso sconosciuti. La violenza è pianificata, priva di emozioni, cieca e determinata. Sessualmente i serial killer sono ipostimolati, da qui la tendenza, come in altri campi della loro vita, a ricercare continui stimoli. In una relazione cercano la soddisfazione egoistica, non la reciprocità dei sentimenti.
Per questo, lunghe relazioni amorose sono quasi sempre escluse a causa della tendenza a considerare l'altro soltanto come un mezzo, un oggetto, e non una persona. È stata anche evidenziata una netta propensione dello psicopatico per il sadismo.
Jonathan Kellerman nel suo libro "Savage Spawn" propone un'ulteriore distinzione fra gli psicopatici, in particolare mette in evidenza due aspetti diversi: l'aspetto impulsivo, con mancanza di auto controllo, mancanza di risposta alla minaccia di punizioni a lungo termine e alti livelli di ricerca continua di sensazioni forti, e l'aspetto interpersonale, con esagerato egoismo e stima di sé, mentire patologico, cattiveria e mancanza di emozioni e di scambi affettivi.

LA PERSONALITÀ PSICOTICA
Da un certo punto di vista queste prime due patologie riscontrate giacciono agli estremi opposti del campo di ricerca. La psicosi è infatti una vera e propria malattia mentale che prevede seri disordini mentali nei pensieri e nelle emozioni.
Le psicosi a noi più conosciute sono le varie forme di una stessa malattia chiamata schizofrenia che ha come caratteristica, come sottolinea Kellerman, la disintegrazione, non la scissione della personalità.
Gli psicotici rappresentano l'uno-quattro per cento in ogni società sociologicamente studiata e soffrono di una distorsione dei pensieri e delle percezioni che li porta ad avere spesso allucinazioni e credenze e interpretazioni della realtà personali basate sulle stesse distorsioni.
È largamente diffusa e quasi universalmente approvata la convinzione che questo genere di sintomatologie abbiano origine biologica e non socio-psicologica.
Altre caratteristiche salienti sono l'estrema chiusura in se stessi (un esempio su tutti , l'autismo) dei soggetti affetti, impoverimento del linguaggio e del pensiero, e molto più spesso di quello che si pensi, alti livelli di ansia e/o di depressione.
L'altro primario disordine appartenente a questa categoria sono le sindromi maniaco-depressive. Anche queste di origine quasi certamente biologica, si presentano come un continuo oscillare di umore che passa da fasi di acuta depressione a fasi di iperattività cerebrale incontrollata. In poche parole la psicosi è quello che comunemente intendiamo quando usiamo il termine "pazzia".

Patologie II


Cosa trasforma bambini speciali in futuri assassini seriali?
Queste le principali patologie psichiatriche e psicologiche solitamente riscontrate di questi individui:

PERSONALITÀ BORDERLINE
Questa sindrome si presenta alla fine dell'adolescenza e viene diagnosticata in presenza di almeno cinque delle seguenti caratteristiche:

1. Enormi sforzi per evitare/mascherare/superare reali o immaginari abbandoni
2. Una ciclicità di episodi di estrema Idealizzazione/svalutazione del partner di una relazione
3. Disturbi dell'identità
4. Impulsività eccessiva
5. Aggressività a tratti potenzialmente pericolosa con episodi di auto-punizione
6. Croniche sensazioni di vuotezza
7. Difficoltà a controllare la rabbia
8. Forti sintomi di dissociazione

La personalità Borderline è fatta di estremi; il mondo è a tratti "tutto cattivo" o "tutto buono".
Jeffrey Dahmer, il "cannibale di Milwakee" a cui abbiamo già accennato era sofferente di alcuni dei principali sintomi di questo disordine della personalità. Dahmer uccideva i suoi amanti "perché altrimenti al mattino se ne sarebbero andati magari senza neanche salutare". Al contrario dello psicopatico, che nei rapporti umani è eccessivamente distaccato, il Borderline è spesso eccessivamente attaccato. Il suo incubo peggiore è rimanere solo, magari a causa del proprio "disagio".
Un altro fenomeno spesso considerato nella psicologia del serial killer è lo stato o disordine da dissociazione. Egger (1990) lo definisce come una mancanza di integrazione di pensieri, sentimenti o esperienze nel flusso di coscienza. In parole povere il soggetto prova una vera a propria separazione mentale da se stesso. La dissociazione è stata anche definita come una situazione di auto-ipnosi (Bliss 1986).
Morton Prince (1975) include nel fenomeno dissociativo il sonno, l'ipnosi, le fughe mentali, la trance, il sonnambulismo, le personalità multiple.
Lo sdoppiamento è un fenomeno per molti tratti simile alla dissociazione.
Lifton in "The Nazi doctors" fa riferimento allo sdoppiamento come "La divisione del sé in due parti autonomamente funzionanti, in modo che, a tratti, una delle due funziona come l'intero sé". In particolare nel libro fa riferimento ai dottori nazisti che lavoravano ad Auschwitz e come essi potessero, attraverso lo sdoppiamento, non solo uccidere e contribuire ad uccidere ma costruirsi una intera struttura di sé alternativa che non doveva rispondere di niente al sé cosciente.

PERSONALITÀ NARCISISTICA
Sempre il ""Diagnostic and Statistic Manual " della "American Psychiatric Association" lo definisce come un persistente complesso di superiorità (nelle fantasie o nel comportamento) con bisogno di ammirazione degli altri.
E' diagnosticato in presenza di almeno cinque dei seguenti sintomi:

1. Ha una grandiosa concezione di sé
2. È impegnato in fantasie continue di successo, potere, bellezza o amore ideale
3. Crede di essere speciale e reputa di essere associato solamente con altre persone di alto status
4. Ha bisogno di ammirazione eccessiva
5. Crede di aver diritto a fare qualsiasi cosa
6. Privo di senso di empatia
7. È invidioso degli altri o crede che gli altri siano invidiosi di lui
8. È arrogante

Molti di questi tratti possono essere riscontrati nella personalità dell'assassino seriale. Il narcisismo aggressivo è comune per tutti gli psicopatici, e porta spesso a un feroce e impietoso sadismo.

Un'altra patologia è la Mania Ossessivo-Compulsiva.
Il comportamento Ossessivo-compulsivo si manifesta in due componenti: la prima formata da "ossessioni", ovvero da idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti e ricorrenti, ritenute almeno inizialmente dal soggetto intrusive e senza senso. La persona riconosce che queste ossessioni sono il prodotto della propria mente.
La seconda componente è rappresentata dalle compulsioni, che sono definite comportamenti ripetitivi e intenzionali, spesso bizzarri, che vengono messi in atto in risposta a un'ossessione. Il comportamento è attuato allo scopo di prevenire il disagio del soggetto o qualche terribile avvenimento che il soggetto teme.
I comportamenti sono assolutamente non connessi in maniera reale e diretta al fenomeno che vogliono evitare oppure sono spesso eccessivi, irrazionali, mal eseguiti rispetto al fine cui si predispongono : in questi due loro aspetti appaiono irrazionali, e spesso sono i soggetti stessi che riconoscono l'assurdità o l'irragionevolezza di alcuni comportamenti. Simili comportamenti in scala ridotta possono essere elementi di vita ricorrenti in alcune persone che si contraddistinguono per l'eccessivo perfezionismo; l'ossessiva attenzione ai dettagli, l'ordine, l'organizzazione delle cose; l'irragionevole insistenza che gli altri seguano il proprio modo di fare le cose; indecisione; inflessibilità.
Inoltre una limitata espressione degli affetti, gretto attaccamento al denaro, e riluttanza ad assegnare qualsiasi lavoro ad altri.
Questo genere di persone è vittima di grande stress e ansia, stati d'animo che non trovano giuste vie per poter esprimersi esteriormente.
Ancora propongo il triste esempio di Jeffrey Dahmer e la sua paura ossessiva di un solo, terribile evento, quello di essere lasciato solo. C'è da fare un ultima annotazione per quanto riguarda questo disturbo; il classico schema disagio e ansia, seguito dall'atto (che scarica la tensione) seguito ancora da una periodo di senso di colpa e/o di rivisitazione mentale dell'accaduto tramite fantasia è molto simile alle tre fasi di azione del serial Killer.
Nel caso dell'assassino queste fasi sono il bisogno, lo stimolo incessante, l'atto e, come dice la definizione stessa, il periodo di "raffreddamento".

Un ultimo spazio va lasciato al "Post Traumatic Stress Disorder" ovvero disordine da trauma subito. Questo è definito come un avvenimento che una persona ha vissuto e che è al di fuori del raggio usuale dell'umana esperienza e che potrebbe ipoteticamente traumatizzare chiunque di noi. La persona soffre di una grande riduzione dell'abilità a provare emozioni, specialmente quelle associate con l'intimità, e presenta anche una diminuita se non assente risposta agli stimoli del mondo esterno detta anche insensibilità psichica o anestesia emozionale.
I traumi infantili che molti serial killer hanno subito sono certamente da classificare come eventi dolorosi e non c'è dubbio che le trance dissociative di alcuni individui come Ed Kemper o Dahmer possono essere interpretate come risposta a uno shock provocato da un trauma.
Tutti questi possibili tratti e il fatto che molte delle caratteristiche dell'una o dell'altra possano essere riscontrati in un serial killer hanno portato alla teoria dell'"overlapping". Molte di queste patologie hanno infatti molte caratteristiche in comune l'una con l'altra e il profilo del serial killer classico si situa diagonalmente a tutte queste sintomatologie.
In pratica nessuna di queste patologie è sufficiente per rappresentare l'assassino seriale, o per lo meno la maggioranza di essi, dunque il serial killer deve essere una patologia a parte, una sintomatologia precisa e nuova (Apsche, 1993). È particolarmente diffuso negli ambienti di ricerca psicologica la tendenza a classificare questa nuova "malattia" o sindrome perché per una certa tipologia di serial killer le caratteristiche sembrano oramai essere le stesse e gli schemi di comportamento altrettanto prevedibili di quelli di una persona che soffre di schizofrenia o di disturbi da personalità borderline, per esempio.
In particolare si è notato che gli assassini seriali presentano una inarrestabile sete di violenza che è stata definita da Keppel (1997) come una caratteristica chiamata Clinical Anger o Rabbia Patologica che insieme alle altre caratteristiche già viste può essere il motore letale di un organismo già orientato alla crudeltà verso gli altri.
Manifesta le seguenti interessantissime caratteristiche:

1. È anormale
2. È costante invece di transitoria o situazionale
3. Il bambino e poi l'adulto la percepiscono come aldilà del proprio controllo
4. Aumenta progressivamente ed esponenzialmente con la crescita dell'individuo
5. Può essere alleviata soltanto attraverso l'estrinsecazione verso l'esterno che comunque rilascia un sollievo soltanto momentaneo
6. Spesso la violenza arresta la sua escalation soltanto di fronte allo stabilirsi di un pattern di manifestazioni esterne (cioè una volta intrapresa la carriera di omicida)
7. Incita la violenza di tipo predatorio su surrogati rappresentanti la vera causa di questa rabbia o eccita l'individuo verso atti violenti sessuali e omicidi in generale
8. Diviene impressa psicologicamente a un livello così profondo che uno schema di Firma si stabilisce e resta immutato attraverso la storia delle performance criminali

Il tipico aspetto di questa serie di caratteristiche è che questa rabbia è inizialmente la manifestazione della frustrazione. Ogni bambino può sperimentare fin dalle fasi di sviluppo più primordiali la frustrazione.
Ogni infante che sente di avere bisogno di cibo o di attenzioni inizialmente piange e se le sue esigenze non incontrano il risultato sperato la rabbia aumenta e il pianto e la frustrazione si fanno più forti. Fino al momento in cui l'infante inizia a esperire uno stato di fiducia nel fatto che le persone che stanno intorno a lui si prendano cura dei suoi bisogni.
È questa fiducia l'inizio di una tendenza a basare gli scambi con l'esterno su presupposti positivi; il bambino sa che le persone intorno a lui gli vogliono bene e faranno solo cose che possono migliorare la sua vita.
In questo modo anche lui si sente in dovere di ricambiare questo amore seguendo le indicazioni e gli insegnamenti degli adulti che lo circondano.
Per queste persone è come se, a un certo stadio dello sviluppo, questo genere di legame con il mondo esterno non si formasse; ciò genera la formazione di fantasie sostitutive dell'esperienza e il lento strutturarsi della convinzione che ogni azione, interna e molto più tardi purtroppo anche esterna, intrapresa nel senso della soddisfazione personale, sarà lecita.
Il vuoto che viene lasciato al posto della formazione embrionale di una relazione di fiducia viene colmato artificialmente con lo stratagemma delle fantasie.

Psicodinamica

Per Mastronardi e Palermo (1993), i comportamenti e le componenti psicodinamiche comuni a tutti i serial killers sono ben 24, non tutte sempre presenti contemporaneamente ma tutte di vitale importanza per capire con che genere di persona abbiamo a che fare:

1. Il timore di perdere la stima di sé
2. Le più profonde aspirazioni narcisistiche
3. Le frustrazioni subite in tal senso
4. L'estrinsecazione della volontà di potenza compensatoria (il cosiddetto sé grandioso patologico), o la presenza di una formazione reattiva di superiorità nei confronti dei propri sentimenti di inferiorità
5. Il narcisismo eccessivo
6. Abnormi timori di abbandono, con cause spesso del tutto inesistenti
7. Razionalità, più che emozionalità
8. Comunicazione fredda e asettica
9. Fantasie di controllo, potere e totale dominio della vittima
10. Fantasie di sesso-violenza e preferenza per le attività autoerotiche
11. Fantasie di squartamento, necrofilia e cannibalismo
12. Desiderio di trattenere con sé il cadavere della vittima o almeno parte di esso

Tutto ciò comporta:

13. Compromessa identificazione col proprio sesso
14. Deformazione della capacità di amare fin dalla tenera età
15. Indifferenza per la propria vita
16. Indifferenza per la vita altrui
17. Impulsività manifesta
18. Ostilità e tendenza alla menzogna
19. Aggressività e incapacità di adeguarsi alle regole della società
20. Schemi di comportamento ossessivo-compulsivo con graduale processo di apprendimento
21. Ricerca di vittime cosiddette "predestinate", fisicamente attraenti e incapaci di opporre eccessiva resistenza fisica
22. Assenza di rimorsi
23. Gratificazione dalla pubblicità fornita dal ritrovamento dei corpi e dalla mitizzazione dei mass media
24. Tendenza dichiarata alla recidiva

Modelli Motivazionali I

Vediamo qui il modello motivazionale di Douglas, Ressler e Burgess (1995); esso si compone di cinque elementi: l'ambiente sociale del soggetto, gli eventi formativi dei periodi dell'infanzia e dell'adolescenza, le risposte a questi eventi (spesso traumatici), le risultanti azioni verso gli altri e le reazioni del killer alle sue azioni assassine attraverso il "mental feedback" fra fantasie e razionalità.

L'ambiente sociale
Gli studiosi delle relazioni familiari sostengono che le interazioni fra la famiglia e l'individuo sono elementi fondamentali per la crescita e la formazione di un'immagina positiva di sé. Per un bambino in crescita il genere di attaccamento alla famiglia si tradurrà in uno schema generale di come comprenderà e categorizzerà le cose al di fuori della famiglia stessa e influirà in modo decisivo sul suo grado di adeguamento sociale.
Nella nostra popolazione di assassini questi legami falliscono inesorabilmente per una ragione o l'altra. Gli adulti non sono efficaci nell'imporre una corretta disciplina accompagnata da adeguate spiegazioni sulle norme di comportamento.
Spesso non hanno reazioni per quanto riguarda i problemi manifesti dell'individuo che sta crescendo. Adottando un atteggiamento indifferente riguardo a problemi di droga o di comportamento di un adolescente si può sostanziare la sua visione di essere stato incastrato dalla società e di non essere in realtà colpevole di niente.
Non solo gli adulti non sono in grado di fornire delle linee guida per il fanciullo ma spesso impongono indiscriminatamente ai figli aspettative e valori adulti, con il risultato di scoraggiare i ragazzi da qualsiasi interazione con gli altri facendoli sentire incapaci ed emarginati. Da questa emarginazione nasce il rifugio nel mondo delle fantasie.

Eventi formativi
Tre fattori contribuiscono al livello di formazione di questo modello.
Il primo è il trauma, in forma di abuso fisico, psicologico o sessuale.
Durante gli anni formativi i soggetti da noi trattati sono frequentemente vittime di eventi fortemente negativi. Questi eventi possono essere traumi diretti come violenze subite in prima persona o traumi indiretti, come assistere a scene disturbanti. L'ambiente non reagisce in nessun modo ai traumi del soggetto, favorendone l'isolamento e non premettendogli nessun tipo di recupero. L'assunzione di Douglas e Ressler è che gli eventi traumatici nella memoria dell'individuo formino il modo in cui i suoi pensieri si sviluppano riguardo alla sua interazione con il mondo. Lo vediamo negli schemi di gioco da adolescenti e negli schemi di pensiero da adulti.
Gli schemi di gioco contengono fissazioni riguardanti gli eventi traumatici, e spesso sono rivisitazioni, possibilmente con i ruoli invertiti, dei traumi stessi.
La stessa cosa accade per gli schemi di pensiero e di fantasia, che contengono allegorie ed elementi legati a questi eventi.
I soggetti vengono lasciati soli con il loro mondo fantastico all'interno del quale ricreano situazioni sulle quali possono esercitare il controllo del quale nella realtà non hanno esperienza.
Un secondo assunto è che queste esperienze moleste influenzano il modo in cui il soggetto si relaziona con altri. Spesso il risultato è che il ricordo e la fissazione del trauma provoca una iper o una ipo sensibilità e quindi un eccessivamente alto o eccessivamente basso livello di eccitazione, nervosa ed emotiva.
Se questi livelli sono alterati, le relazioni interpersonali ne risentiranno perché il soggetto avrà reazioni anormali e ricercherà stimoli continui e anomali. Una dimostrazione di questo assunto è il fatto che molti di questi killer colpevoli passano il test della macchina della verità con estrema facilità. I fattori analizzati dal poligrafo sono: conduzione elettrica della pelle, battito e frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, livello di ansia. Dunque se queste persone hanno un livello di attivazione delle emozioni più basso, possono comportarsi naturalmente in presenza della macchina e niente di quello che provano davvero sarà rivelato.
Il fallimento delle relazioni interpersonali, il nostro terzo elemento, rappresenta l'inefficienza da parte dei genitori di fornire un modello di comportamento socialmente adeguato. Il padre o la madre possono essere alcolizzati, oppure il bambino può essere testimone di episodi in famiglia in cui la violenza e gli elementi erotici sono strettamente legati.
Vale, qui più che mai, il classico principio dell'educazione che vedere un padre che esercita la violenza con successo in famiglia può insegnare al bambino l'insana lezione che la violenza funziona, all'interno del microcosmo della famiglia come nel macrocosmo della società.

Risposte agli eventi
Le risposte agli eventi e il modo in cui il soggetto si comporta sono divisibili in due grandi categorie; i tratti critici della personalità e le funzioni e i processi cognitivi.
Nella crescita e nel positivo sviluppo di un bambino i tratti personali positivi come fiducia, sicurezza e autonomia aiutano a stabilire le relazioni dell'individuo con gli altri.
Queste caratteristiche, combinate con un ambiente sano e positivo, aiutano il bambino a sviluppare competenza sociale e fiducia in se stesso e negli altri.
C'è stata invece una propensione per tutti e trentasei gli individui del gruppo di serial killer a sviluppare tratti di personalità negativi invece di positivi. Questi tratti negativi interferiscono con la formazione di relazioni sociali e con lo sviluppo di emozioni e risposte emotive nei confronti dell'ambiente sociale.
Il bambino basa il suo sviluppo emotivo sulle proprie fantasie e sui loro temi dominanti invece che sulle relazioni sociali. Questa spaccatura netta è quella che secondo il parere degli agenti e degli scienziati a essi allineati, crea la differenza.
I tratti che emergono in questa fase sono un senso di isolamento sociale, una preferenza per le attività autoerotiche, una forte tendenza alla ribellione, aggressività e un senso di essere privilegiati e di sentirsi autorizzati a fare qualsiasi cosa. Le conseguenze di questo stato sono una generale sfiducia nelle relazioni umane e una ben radicata rabbia verso la società che li rifiuta.
Il cronico mentire dell'assassino riflette una mancanza di fiducia e di possibilità di scambio reciproco con gli altri ; al contrario egli sviluppa invece un senso di autorizzazione implicita a fare tutto quello che vuole come conseguenza della rabbia e dello spostamento della colpa sulla società. L'isolamento sociale e la rabbia interagiscono impedendo uno sviluppo sessuale basato sull'amore, il piacere della vicinanza e dello scambio affettivo.

Modelli Motivazionali II


Le funzioni cognitive
Per quello che riguarda le funzioni e i processi cognitivi, con questi termini facciamo riferimento a quell'insieme di schemi cognitivi che servono per il controllo e lo sviluppo della vita interiore e che poi legano l' individuo al contesto sociale.

L'insieme delle funzioni cognitive genera il significato degli eventi per un individuo.
Esso è anche diretto a preservare uno stato interno di tranquillità e di calma attraverso la riduzione dell'ansia, del terrore e, molto importante, della sensazione di impotenza. Le funzioni cognitive sono generate e sostenute dagli elementi da noi già presi in considerazione: il contesto sociale e le interazioni con esso.
Quando il contesto sociale è critico e le interazioni traumatiche, le funzioni cognitive si orientano a sostenere l'individuo e si organizzano in schemi fissi di pensiero e di comportamento.
Nel nostro caso, nei futuri serial killers si sviluppano unicamente funzioni negative, volte cioè a riparare i traumi ed equilibrare gli stati emotivi sempre e comunque in risposta a una serie di eventi e di convinzioni che si autoalimentano. Gli schemi divengono fissi. L'individuo ne diventa vittima perché gli schemi di pensiero e le conseguenti fantasie sono concepite unicamente per un equilibrio interno attraverso la riduzione della tensione.
Le altre persone vengono escluse a priori, per timore.
È specificamente in questo momento che i temi di controllo e di dominio sugli altri prendono il sopravvento sulla vita interiore dei soggetti.
Essi divengono un sostituto per il senso di dominio delle situazioni che nella vita reale non viene provato. Il dialogo interiore risulta anch'esso impoverito e orientato al pensiero ripetitivo e fortemente guidato da pregiudizi su cause, effetti e probabilità degli eventi.
Il pensiero si struttura e si abitua a ragionare per assoluti e luoghi comuni, perdendo la capacità di discriminare sul momento e bloccandosi su una serie di schemi e di idee fisse a proposito delle persone e di quello che esse pensano.
In questo modo i livelli di attivazione emotiva e di eccitazione dei soggetti finiscono per concentrarsi unicamente intorno agli schemi fissi che hanno sviluppato; in più la realtà deve risultare paradossale e iperbolica per suscitare le stesse forti emozioni delle fantasie.
Da qui la continua ricerca di stimoli forti e sensazioni inusuali.

Le azioni verso gli altri
Il comportamento di una persona è guidato dal suo mondo interiore.
I bambini che crescono senza grandi problemi cambiano e adattano il loro pensiero ogni giorno per conseguenza delle sfide e degli stimoli che il mondo esterno e le persone pongono loro.
Questa flessibilità è sconosciuta al serial killer da bambino.
Per primo le esperienze che fa nel senso dell'illegalità e della crudeltà verso gli animali e gli altri passano inosservate e impunite o perlomeno il bambino è in grado di rifugiarsi nel suo mondo interiore per rendersi comunque conto che le sue azioni non sono sbagliate e che aveva il diritto di fare le cose che ha fatto.
Secondo, le convinzioni che il bambino rinforza ogni giorno non trovano nessuna sfida o nessun riscontro nel mondo esterno, in pratica non avendo la possibilità di interagire con gli altri il bambino è solo e nel suo isolamento non può trovare stimoli per mettere in discussione quello che pensa ma soltanto autoconferme.
Per conseguenza le azioni violente verso il mondo, orientate a provare le stesse sensazioni di dominio e di controllo che caratterizzano il mondo interiore del soggetto, diventano sempre più crude e senza rimorso.
Si passa dalla crudeltà sugli animali e la piromania nella prima infanzia, alle violenze sui compagni e ai conflitti con gli adulti nell'adolescenza, ai crimini veri e propri subito dopo, furti, aggressioni, stupri, omicidi.
E' difficile arrestare un serial killer incensurato. Tutti gli assassini detenuti confermano questi dati e questo tipo di percorso; non esiste nessuno di questi uomini che non ha già avuto qualche genere di guaio con genitori, educatori, tutori della legge. Molti di essi vengono spesso arrestati in relazione a crimini minori, magari incriminati per furto, per stupro o banalmente per una lite condominiale. Si pensi al recente caso eclatante di Timothy McVeigh, l'uomo che ha piazzato la bomba ad Oklahoma city che ha scosso l'America e provocato centinaia di morti; fermato per guida privo di patente, l'agente accertatore ha notato che aveva avuto guai penali mentre era nell'esercito e che più di una volta era stato incriminato per porto abusivo d'armi e per ingiustificato uso di armi da fuoco in luogo pubblico. Soltanto dopo una notte in prigione grazie agli arguti sospetti degli agenti che hanno gestito il caso, la polizia e la stampa internazionalesi sono rese conto di chi fosse l'uomo in realtà.

Modelli Motivazionali III



Il feedback mentale dell'assassino
Chiamiamo questa parte feedback mentale perché l'assassino risponde alle sue azioni con una serie di considerazioni mentali che a loro volta influenzano le sue azioni future. Si è potuto notare infatti che le azioni dei serial killers subiscono dei cambiamenti così come le loro fantasie e il loro modo di porsi verso la società, il crimine e le altre persone.
In quanto la realtà del crimine è molto diversa da quello che i soggetti immaginano, la loro psiche reagisce fornendo nuove vesti alle fantasie stesse, adattandole alle nuove informazioni, creando giustificazioni per le azioni sempre più articolate e convincenti. Alcune di queste sono così forti che molti di questi criminali a un certo punto del loro percorso ingaggiano una vera e propria lotta con la polizia e la società sotto forma di macabro gioco. Per aggiungere eccitazione e sensazione di dominio e controllo quello che fanno assume nella loro mente una veste di sfida e di aperta dimostrazione della loro superiorità.
Purtroppo le menti di questi uomini sono molto diverse dalle spettacolarizzazioni mediatiche di cui sono protagonisti; l'inquietante sguardo di Anthony Hopskins e il suo sagace e intelligentissimo personaggio Hannibal sono molto diversi dai serial killers del mondo reale.
Con pochissime eccezioni quelli che vengono ritenuti una classe a parte di criminali geniali e privi di rimorso che sfidano le regole e la morale della società non sono altro che patetici e quasi autistici casi clinici. Corrotti e impoveriti da una vita di pensieri uno uguale all'altro questi uomini usano le loro intelligenze sovente unicamente per tentare di eludere la legge il più a lungo possibile. Naturalmente esistono delle eccezioni e, benché gli anni formativi e le principali esperienze prima dell'inizio dei crimini coincidano per la maggioranza dei soggetti, alcuni si distinguono per la capacità di prevedere le mosse della polizia e della società e per l'abilità che dimostrano nel far perdere tracce di sé.

Modello Diathesis-Stress I


Questo modello è molto simile a quello proposto da Douglass, Ressler e Burgess. Si chiama Diathesis-stress model. È stato postulato per la prima volta in modo ufficiale da Gottesman e Shields nel 1982. Fondamentalmente propone come motivazioni alla base della formazione della personalità del serial killer una combinazione tra fattori biologici innati e ambiente sociale. La definizione individua i fattori genetici come causa primaria però non sufficiente a generare il fenomeno.
Hans e Marcus (1987) hanno compiuto un'interessante analisi della schizofrenia in una prospettiva di Diathesis-stress, sottolineando rispettivamente il concetto di vulnerabilità costituzionale, indicando l'eredità genetica come fattore di fondamentale importanza nella genesi della malattia, le responsabilità dell'ambiente familiare, le precoci manifestazioni comportamentali anomale dei soggetti.
Le basi di questa teoria sono biologiche, non tutti i bambini con infanzie terribili diventano serial killers, alle spalle c'è una costituzione di un certo tipo che predispone la recettività del soggetto a una determinata risposta introspettiva ed essenzialmente violenta.
La combinazione di un ambiente traumatico e di una naturale predisposizione a risposte condizionate generano dei conflitti a livello di concetto e di stima di sé.
Questi conflitti sono spesso aggravati dalla natura sessuale dei traumi e automaticamente dalle risposte ai traumi.
A questo punto la teoria prevede che queste premesse generino una serie di risposte interne distorte e consequenzialmente un ritiro all'interno di un mondo di fantasie, unico garante di tranquillità e di familiarità per l'individuo in preda ad avvenimenti giudicati più grandi di lui.
La teoria sembra simile a quella già affrontata se non che, a questo punto, si osserva una descrizione di un processo che inevitabilmente porta ai primi crimini e non a una modificazione della fantasie e a una correzione delle azioni come abbiamo già visto; piuttosto a uno sviluppo di una forte capacità di dissociazione.
Praticamente quello che succede è che si varcano i confini della fantasia interiore e i soggetti sperimentano un vero e proprio sdoppiamento che finisce inesorabilmente per far prevalere la parte violenta della persona.
La fase che segue consiste nella comparsa di un ciclo auto-alimentante di azioni di matrice ossessivo-compulsiva. Il killer ha ormai capito cosa soddisfa la sua fantasia, ha scoperto la sua ossessione, sa che è soltanto una questione di tempo prima che succeda di nuovo.
A volte si inganna, prende tempo, qualche volta prova rimorso per i suoi atti. Rimanda perché non ha tempo, mette in discussione la sicurezza delle sue azioni. Oramai è entrato in un circolo vizioso che sarà sempre più esigente.
È per questo che molti non reggono la pressione delle proprie stesse urgenze.
Il ciclo si ripete, sempre più spesso, la voglia, la fame, l'impulso all'azione è sempre più pressante. Così spesso si commettono imprudenze che risultano fatali. L'elegante e sofisticato Ted Bundy, inesorabile nello sparire nel nulla, verso la fine della "carriera" commette una stupidaggine dietro l'altra in preda a una vera e propria frenesia.
Jeffrey Dahmer viene alla fine arrestato in preda a uno stupore quasi ipnotico, la sua psiche è così satura e distorta dalle dissociazioni che non è più in grado di orientarsi.

Modelli Minori

C'è un corpus ben nutrito di teorie motivazionali sui serial killers che riguardano i fattori meramente biologici/ereditari dei soggetti in causa.
Non si tratta certo dell'antica disputa dell'innatismo contro il pragmatismo, né di una versione moderna di essa.
Quella che si chiama prospettiva biologica infatti ha sostanziose prove pratiche e studi tecnici alle spalle da meritare rispettosa attenzione.
Un luogo comune molto diffuso tra i profani è rappresentato dal fatto che molte persone pensano che la teoria biologica riguardi tutti quei sedicenti professori che sostengono che le cause del fenomeno serial killers sono da ricercarsi negli squilibri ormonali, in particolare del testosterone.
In realtà queste opinioni non sono che una piccola parte del quadro che formano le ipotesi biologiche. In pratica ci sono alcuni elementi che lascerebbero capire che elevati, anormali dosaggi di testosterone in circolo nel corpo di una persona potrebbero generare quell'impulso a uccidere e possedere caratteristico della violenza predatoria che riscontriamo negli assassini seriali. È vero che si tratta, con poche rare eccezioni, di una popolazione esclusivamente maschile, è vero anche che tante di questi soggetti sentono un irrefrenabile impulso a commettere delitti con forte componente sessuale. Ma è vero anche che la maggior parte dei killers è in grado di controllare questo istinto e che, comunque, non si tratta di un cieco impulso verso le pratiche sessuali, come potrebbe forse sentire uno stupratore, ma, come abbiamo visto, di ben altro. Quando si parla di assassini seriali si parla di dominio, di violente fantasie sessuali che escono allo scoperto, non solamente di una persona che è disperata per il bisogno di sesso. È vero che alcuni di questi killer che avevano delle mogli o delle compagne erano rinomati per pretendere soddisfazione sessuale fino a cinque-otto volte al giorno, ma non era certo quella loro caratteristica che li trasformava in spietati assassini.
Un altro elemento dei sostenitori di questa tesi è che molti serial killers si fermano o comunque l'istinto di uccidere sembra diminuire intorno ai cinquant'anni.
È vero anche che intorno ai cinquant'anni mutano molte altre caratteristiche biologiche ed emotive di una persona; stiamo parlando comunque di soggetti incarcerati (la missione rieducativa delle carceri è oramai completamente esclusa come possibilità in America, le carceri sono luoghi sicuri dove relegare la feccia intrattabile della società) e la rassegnazione al proprio destino non tarda ad arrivare intorno a quell'età per i pochi che hanno la fortuna di arrivarci.
David Berkowitz ha cambiato il suo soprannome di killer, "Figlio di Sam", in "Figlio della speranza" da quando, come dice Ressler, "ha convenientemente trovato Gesù". Insomma la linea "testosterone" dell'argomentazione ormonale-biologica sembra non reggere minimamente il riscontro con i dati.
D'altro canto questo genere di argomentazioni e le proprie pretese dimostrazioni hanno iniziato la loro fama storicamente molto presto.
Da quando l'italiano Cesare Lombroso iniziò la sua ricerca sui criminali con l'intenzione di trovare le conferme alla sua teoria che alcune persone nascono cattive il moto di queste supposizioni non si è mai arrestato.
Purtroppo le prove a favore di queste linee danno l'impressione in retrospettiva che le versioni più solidamente dimostrate fossero proprio quelle degli esordi. Lombroso sosteneva che i criminali fossero una specie di anello di congiunzione fra l'uomo e i suoi istinti primordiali.
Questi uomini infatti possedevano una mente dominata dalla parte arcaica e primitiva dell'uomo, e questo era evidente anche dai tratti somatici e dalla conformazione del cranio. Mascella larga, naso schiacciato, cranio sovradimensionato; gli individui studiati da Lombroso sembravano veramente degli uomini primitivi.
Quasi contemporaneamente il sociologo Richard Dugdale sviluppò uno studio storico in cui prendeva in analisi a discendenza di un clan formato da due fratelli che sposarono due sorelle illegittime. Ebbene di questa fiorita discendenza di più di settecento persone sembra che solamente sei non divennero prostitute o criminali.
Un altro sociologo, Henry H. Goddard , ha studiato il caso di un quacchero che aveva avuto un figlio con una ragazza ritardata e poi numerosi altri dopo il suo matrimonio con una onesta quacchera come lui. Dei quasi cinquecento discendenti sulla linea della seconda moglie nessuno fu conosciuto come disonesto o criminale. Dalla discendenza della ragazza ritardata, a parità di numero, soltanto il 10 per cento degli individui risultò normale.
È chiaro che questi dati sono in un certo senso arbitrari e incontrollabili e ci rendiamo perfettamente conto che siano scientificamente inservibili.
Per quello che ne penso, i risultati odierni non sono molto più affidabili o credibili di quelli sopra elencati.
Per quello che riguarda le ipotesi moderne, alcune di queste si concentrano intorno al concetto di danno al cervello o di anormalità dell'encefalogramma.
In molti casi le ferite o i significativi traumi alla testa sono stati indicati come origine di comportamenti aggressivi ed estremamente impulsivi.
Un classico esempio di questo tipo è l'assassino Bobby Joe Long, che, rinomato per aver avuto una storia di disfunzioni endocrine durante l'infanzia, ha mostrato encefalogrammi molto peculiari come conseguenza di un significativo trauma cranico dovuto a un incidente motociclistico.
In una indagine del Dr. Lewis, citata da Ewing (1990), il professore prende in esame 14 detenuti del braccio della morte arrestati per crimini violenti. Tutti gli elementi del campione analizzato provenivano da storie di traumi cranici gravi risultati in coma, operazioni, o comunque cure ospedaliere.
Per quanto riguarda invece i molto più attendibili studi genetici possiamo citarne alcuni ritenuti internazionalmente molto validi.
Il primo appartiene al Massachussets General Hospital e concerne gli effetti di una anomalia genetica riscontrata in un gruppo di soggetti che metabolizzavano in modo anormale l'enzima monoamminico di oxidase, detto anche MAOA, una sostanza che influisce sulla gestione della dopamina, della serotonina e della noradrenalina, componenti che sappiamo influenzare il comportamento e i sentimenti di qualcuno in modo determinante.
Un altro dibattito molto fiorente è quello intorno al cromosoma 47 XYY.
Jacobs, Brunton e Melville iniziarono la prima ricerca su cromosomi maschili XYY scoprendo questo cromosoma aggiuntivo in una nutrita schiera di criminali accusati di criminali violenti.
Money (1970) sottolinea come bambini con XYY fossero dotati di personalità enigmatica, soffrissero di significativo isolamento e tendessero a essere tremendamente irascibili e violenti nelle loro rare manifestazioni verso gli altri. Sembra che questo cromosoma in eccesso aumentasse il valore di un metabolite endogeno che negli esseri umani "normali" è presente in dosi microscopiche. Questo matabolita, chiamato "Urine kryptopyrrole" è conosciuto per formare legami complessi con zinco e la vitamina B6, consequenzialmente privandone l'organismo.
Se il quantitativo di Urine kryptopyrrole è molto alto (fino a 200 nei campioni di riferimento con valori medi che dovrebbero essere fra lo 0 ed il 20) le sostanze con cui forma legami scompaiono dall'organismo della persona. Adesso, lo zinco e la vitamina B6 sono conosciuti come catalizzatori di alcuni processi di neurotrasmissione che coinvolgono ancora una volta la dopamina e la serotonina, e lo zinco è un elemento fondamentale come coenzima per una serie di importanti reazioni.
Le ricerche che associano questo fattore con i comportamenti aggressivi e tipici degli assassini seriali sono molte, fra le tante, anche quella di Krauss (1995) che afferma con sicurezza che alti livelli di Urine kryptopyrrole portano a comportamenti fortemente impulsivi, perdita del controllo e bassa tolleranza dello stress.
Sono famose le ricerche di Krauss nel caso di Arthur Shawcross, assassino che terrorizzò la città di Rochester, nello stato di New York, uccidendo undici persone in due anni. Shawcross presentava altissimi livelli di Urine kryptopyrrole e, nonostante il fatto che la sua vita sia una storia di alti e bassi fra lavoro, guerra e matrimonio, gli schemi di violenza brutale sono stati presenti nella sua vita fin da quando il soggetto stesso può ricordare.
Quello che emerge dai miei studi è che molte di queste argomentazioni, combinate anche con ambienti sociali pregiudizievoli come in molte tesi che fondono l'approccio chimico-biologico con quello sociale-psicologico sono valide spiegazioni di alcuni casi ma non possono assurgere a normative esaustive del fenomeno.
C'è infatti una differenza fondamentale fra la tendenza all'impulsività e all'aggressività in generale e l'atteggiamento predatorio degli assassini seriali. Quest'ultimo viene definito da Moyer (1970) come " una violenza avente basi neurologiche differenti dagli altri tipi di violenza". L'aggressione predatoria è chiaramente diversa da altri tipi di aggressione, nel senso che "non manifesta rabbia confondibile con un atteggiamento di lotta, in realtà è orientata verso uno scopo, accuratamente pensata, e la tensione che la genera si dissolve solamente con il raggiungimento dell'obiettivo" (Fromm, 1973).
La calma, organizzata aggressione di un serial killer riflette evidentemente un comportamento predatorio più che un istinto alla violenza o allo scontro.

Definizioni e Precisazioni I


Come si riconosce un assassino seriale e in cosa si differenzia dall'omicida comune?
L'F.B.I. lo definisce come "qualcuno che ha ucciso in almeno tre occasioni, con quello che possiamo chiamare un periodo di pausa in mezzo a ognuna" (Ressler, 1970).
La definizione è molto ampia e presenta una lunga serie di distinzioni e di specificazioni.
Steven Egger (1990) aggiunge una nota molto importante: "Il movente non è materiale o monetario ma si crede che sia la soddisfazione dei desideri dell'assassino di avere il controllo totale sulle sue vittime".
Entriamo nello specifico:
La distinzione più autorevole dalla quale iniziare è senz'altro quella di Vincenzo Mastronardi e George B. Palermo, due psicologi e criminologi statunitensi, i quali scindono il fenomeno fra Serial, Mass e Spree Murder.
Il serial killer è colui che uccide in almeno tre occasioni con un periodo di "cooling -off", di "raffreddamento" nel mezzo. È sottolineata l'importanza del periodo intermedio, il fatto che ogni evento omicida sia vissuto come emozionalmente distinto e separato; i delitti hanno ciclicità temporale.
Lo spree killer (assassino compulsivo) commette omicidio di due o più persone in un lasso di tempo molto breve, in luoghi differenti però contigui, in modo che gli omicidi confluiscano in un unico evento, come se fosse stato colto da un raptus omicida.
Il mass murderer (assassino di massa) uccide quattro o più persone all'interno dello stesso luogo e dello stesso episodio.
A livello macroscopico si può affermare che, dal punto di vista dell'assassino, un serial killer pensa di farcela a non essere catturato e molto spesso prende tutte le precauzioni per farla franca, mentre un mass murderer non crede di uscire vivo dall'episodio; infine uno spree killer vede così poco lontano dal suo naso da non averci probabilmente neanche pensato.
L'assassino di massa è il tipico "esaltato" che entra in una scuola e apre il fuoco su chiunque gli capiti davanti; è l'impiegato che fa strage nel suo posto di lavoro. Molto spesso c'è un "messaggio" che questo assassino deve inoltrare alla società e per farlo è disposto a sacrificarsi.
Frequentemente si considerano come qualcuno che non ha niente da perdere in ogni caso. C'è stato recentemente un episodio perfettamente rappresentativo di questa categoria: in Svizzera, più unico che raro per il paese, un ex-impiegato del Comune ha fatto strage di parlamentari con il suo fucile di ordinanza, eredità del servizio militare.
Gli spree killers storici e più esemplari a noi tutti conosciuti sono Bonnie e Clyde, una coppia omicida, come anche lo sono stati Charles Starkweather e Caril Fugate, lanciati in una follia assassina in viaggio attraverso l'America. Sono il tipo che meno si preoccupa del futuro, se pure ci pensano.

Sempre Mastronardi e Palermo (1995) dividono i serial killers, la categoria più diffusa e preoccupante, in altre cinque tipologie:

1. Visionario
2. Missionario
3. Edonista
4. Del controllo del potere
5. Lussurioso

Il tipo "visionario" comprende quei serial killers che eseguono i loro omicidi in conseguenza di ordini ricevuti da voci allucinate o in funzione di particolari visioni avute. Si tratta di vere e proprie allucinazioni di comando e la voce udita è generalmente di origine mistica, Satana, Dio, un padre morto e onnipotente, una figura religiosa.
Un "demone" impone loro di uccidere, di distruggere; la loro azione distruttiva corrisponde a una missione perentoria, eseguita con fedeltà e convinzione.
La maggior parte di questi assassini è affetta da schizofrenia di tipo paranoide oppure da disturbi allucinatori paranoidi. Nel primo caso l'omicidio è sempre condotto in modo bizzarro e disordinato, mentre nel secondo caso può essere molto ben pianificato.
Il tipo "missionario", come dice la parola stessa, deve compiere una missione, che generalmente consiste nella ferma convinzione di dover ripulire il mondo da persone considerate indesiderabili (prostitute, vagabondi o spacciatori di droga).
Questo serial killer, pur non soffrendo di una psicosi, è spesso condizionato da personali convinzioni sostenute da alcune false percezioni di tipo paranoide. Infatti, non prova nessun rimorso poiché agisce "per il benessere della società".
Un esempio emblematico è quello di Pedro Alfonso Lopez, venditore ambulante colombiano accusato di 310 omicidi. 100 bambine seviziate e strangolate in Colombia, altrettante in Perù, 110 in Ecuador, dove, colto sul fatto, fu arrestato.
Lo strangolatore delle Ande si definiva un liberatore. "Le ho soppresse per liberarle dalle sofferenze che subivano nella vita terrena" ha riferito, calmo, durante una dettagliata confessione.
Il tipo "edonista" si distingue per il piacere che prova nell'uccidere. E' l'atto omicida che di per sé gli fornisce una sensazione del tutto simile a quella forma di orgasmo emotivo provato dal cosiddetto forte giocatore quando scommette grandi somme e aspetta i risultati. Può essere considerato una variante del "risk taking", classico delle persone che hanno bisogno di rischio e di forti emozioni, che ritroviamo non solo nei malati del gioco delle carte o del casinò ma anche in chi pratica la roulette russa.
Nel tipo del "controllo del potere" lo scopo principale è quello di esercitare il totale controllo su un'altra persona, fino al potere definitivo di deciderne il destino. In questi casi lo stupro, la sodomia e la distruzione degli attributi sessuali hanno una motivazione erotica soltanto superficiale (il sesso è solo uno strumento, un veicolo) mentre in realtà rappresentano il desiderio più profondo di esercitare il proprio potere e il totale controllo psicofisico sulla vittima.
In questo caso, Jeffrey Dahmer, il tristemente famoso cannibale di Milwakee è un esempio tipico.
Dahmer adescava giovani omosessuali, li portava prima a casa sua dove li teneva in uno stato di incoscienza per un periodo di tempo nel quale li torturava e seviziava per poi inevitabilmente ucciderli. Per ottenere un controllo totale sulle sue vittime era andato così in là da tentare assurdi esperimenti attraverso fori nel cranio per creare degli "zombi", schiavi sessuali ai suoi comandi.
Infine il tipo "lussurioso" o lust killer ha per obiettivo quello di ottenere una soddisfazione di natura sessuale dalle vittime.
Diverso dallo stupratore e dal tipo del controllo del potere, questo omicida è completamente assorbito dal suo egoismo e considera le persone solo come dei mezzi, come degli strumenti attraverso i quali raggiungere la soddisfazione. Non è l'atto sessuale in sé che risolve il problema del killer, anzi, spesso il medesimo passa assolutamente in secondo piano rispetto alle ritualità che il criminale esprime in presenza della vittima. E' guidato da fantasie dove sesso e morte sono insieme protagonisti assoluti. La sua compulsione è realizzare queste fantasie.
Come dice John Douglas, figura chiave dell'FBI nella lotta agli assassini seriali, le parole chiave sono: Manipolazione, Dominio, Controllo.
È questo il tipo di serial killer più difficile da assicurare alla giustizia, nonostante sia il tipo che è stato più studiato, attraverso interviste, attraverso l'esperienza di coloro che hanno indagato e che si sono messi, sempre come è solito definire Douglas, "nei panni dell'assassino".

 
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