| I Rituali
-Il Menadismo: L'attribuzione di Dioniso Mainomenos, "Furioso" lo fa considerare il dio in quanto detentore della mistica forza che viene scatenata durante i rituali. A volte però il dio utilizza questo suo potere per attirare magicamente gli increduli o per punire chi ostacola il suo culto (Dioniso viene anche chiamato Gynaimanes "colui che rende pazze le donne"), come appare nelle baccanti di Euripide, dove in particolare bisogna rilevare anche il ruolo decisivo della zia Ino che la leggenda vuole nutrice ed educatrice del dio, ma che sotto il nome di Leukothea sarà la protettrice dei naviganti. Ancora il tardo Oppiano ci riporta il mi che vuole Dioniso nutrito dalle zie Ino, Autonoe ed Agave, che danno inizio al rituale orgiastrico quando, per coprire le grida del fanciullo divino, cominciano le danze estatiche nelle quali trascinano le donne beote. Il mito appare dunque come la trasposizione di un rituale che voleva donne invasate celebranti ogni tre anni la festa del dio, e che costituivano una sorta di corteo mistico che al suono di cembali, tamburi e flauti percorreva i vari villaggi e, ad imitazione di quanto la leggenda riferiva alle Menadi, riteneva abolita la condizione umana e credeva di assistere ad una qualche forma di parusia dionisiaca che portava con sè lo scaturire della terra di latte, vino e miele. Questa speciale rivelazione divina, che veniva d'altronde percepita e vissuta dal miste come una forma di liberazione "gioisa" ed "entusiastica", era il risultato di alcuni rituali che intendevano abolire la normale condizione umana. Alcuni studiosi hanno scoperto che l'orgia dionisiaca, riprendendo una condizione sacrale ben più antica e primitiva, da luogo a forme di scatenamento simili a quelle dell'etnologia, morfologicamente così descritte nelle Baccanti di Euripide: testa ondeggiante ossessivamente; capelli disordinati e "lanciati verso il cielo"; potere di manipolare il fuoco senza conseguenze; dominio completo sui serpenti. La sacra mania così evocata nell'orgia produceva una forma di scatenamento che portava i partecipanti al rito a slanciarsi su qualche vittima animale, che spesso ci viene descritta come un toro, e a delacerarlo furiosamente. Questa forma ripugnante di scarificio veniva compiuta al culmine di una serie di danze estatiche che caratterizzavano il "ritiro sul monte", ossia il distacco dalla normale vita e la piena presa di possesso, da parte del dio, del suo fedele. Il dilaceramento sacrificale della vittima preludeva a quello che era il rito più caratteristico del dionisismo, il divoramento orgiastico e frenetico delle carni crude dell'animale. Euripide ne parla come di qualcosa di universalmente conosciuto - con un probabile sintomo della natura primitiva di questipo di sacrificio nell'utilizzazione della carne cruda, contrapposta all'uso cittadino di cuocerla - avente la caratteristica di portare il miste ad identificarsi con Dioniso attraverso l'ingerimento dell' "essenza" del dio così immolato. Tuttavia questo sacrificio - che costituisce una specie di anomalia nella religiosità greca per il suo carattere ripugnante, ma che si è continuato almeno fino all'epoca plutarchea - costituisce forse un'evoluzione o un adattamento di un rituale primitivo e incentrato nel sacrificio non di un animale, ma di un uomo. E' quanto ci porta a supporre il mito, con caratteri di "esemplarità", del dilaniamento dello stesso Dioniso da parte dei Titani; l'episodio della punizione del Licurgo omerico e, soprattutto, ancora il racconto euripideo delle Baccanti. Qui infatti, pur in una trasposizione poetico-drammatica, viene rappresentato uno scenario di crudo realismo nel quale le invasate del dio, abolendo qualsiasi distinzione familiare o sociale, mangiano ritualmente Penteo, nella convizione che Dioniso si manifestasse in quella forma, e della quale perciò bisognava in qualche modo prendere possesso attraverso questa particolare comunione mistica.
-La danza e il ditirambo: Alcuni sostengono che "in ogni mistero vi è la danza" il cui archetipo peraltro, a loro parere, si ritrova nella danza delle costellazioni, nel movimento dei pianeti e delle stelle. Se può sembrare eccessivo sostenere che l'antico tracciato labirintico riproduceva il movimento del cielo solare che veniva mimato da un danzatore mascherato da toro, tuttavia è senz'altro vero che la figurazione circolare dei danzatori non può trovare altra spiegazione che nel riferimento ad un'immagine cosmica, tanto più che sia in Grecia che altrove la danza rituale non intende dare spettacolo, ma produrre nel danzatore uno stato di estasi. Fu al ritorno dall'India che Dioniso istituì e regolarizzò i propri rituali, ma già il mito della nascita aveva visto le sue nutrici danzare ritmicamente davanti all'antro in cui si trovava il fanciullo divino, trascinando e contagiando tutte le donne vicine. Questo rituale privilegiava la notte, quando alla luce delle fiaccole si dava il via al suono di strumenti "dionisiaci" quali il flauto, il cembalo e il tamburo, il cui ritmo doveva favorire lo scatenamento nel danzatore di forze psichiche che producevano movimenti spasmodici ed ossessivi, come documentano le raffigurazioni pervenute. La controparte recitata di queste forme rituali era il ditirambo, "uno spettacolo eseguito da un coro che associava il canto alla danza e alla musica". Aveva la caratteristica di venire eseguito in cerchio, ruotando e danzando vorticosamente attorno all'altare del dio, il thymilè, mentre l'exarchon intonava il canto liturgico e scandiva il ritmo della danza. E' anche probabile che il ditirambo comprendesse pure la recita di elementi mitici che il coro riteneva di "attualizzare" durante la sacra rappresentazione. Si trattava pertanto di una particolare forma liturgica che comprendeva un elemento evocativo connesso alle grida rituali pronunciate dagli officianti, e una celebrazione notturna che privilegiava l'ossessivo ripretersi di danze tumultuose eseguite da un coro maschile in vista del sacrificio orgiastico del dio-toro.
fonte "Il Divino nell'Ellade" di Nuccio d'Anna
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